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gennaio 2016

personaggi in riviera

miklós rózsa

di federico ermirio

“Sono abbastanza all'antica per sostenere
che nessuna arte è degna di questo nome
se non contiene elementi di bellezza”
 

 

Per il grande pubblico il nome del compositore Miklós Rózsa è indissolubilmente legato ad alcune delle più celebrate pellicole dagli anni '40 ai '60, prodotte nel periodo mitico della cinematografia hollywoodiana (Le quattro piume, Il ladro di Bagdad, Io ti salverò, Doppia vita, Giulio Cesare, Brama di vivere, Quo Vadis, Ben-Hur, El Cid, Il Re dei Re, solo per citare alcuni titoli). Firma oltre un centinaio di colonne sonore, progressivamente svincolando la musica per il cinema dalla subalterna dipendenza di un'esclusiva narrazione “di contorno”, conducendola a esiti di sinfonismo programmatico esaltanti le componenti psicologiche, spettacolaristiche emergenti, ma anche latenti, nelle sequenze cinematografiche.  La Musica di Rózsa “aggiunge” andando oltre la mera sottolineatura di caratteri e di azioni. In questo non è l'unico, ma i risultati sono straordinari. Rózsa, come Erich Korngold, è prima e sopra di tutto un compositore, un compositore del suo tempo, impregnato degli umori artistici e musicali che nei primi decenni del secolo scorso vibravano di novità da Parigi a Londra, Berlino, Vienna, Budapest (per anni non perdendo un appuntamento del Festival Wagneriano di Baireuth, allora quasi obbligo per generazioni di Musicisti). Incontrò e conobbe Strauss, Bartók, Furtwangler, Dohnányi, Villa-Lobos, Stravinsky; frequentò interpreti e solisti quali Heifetz, Piatigorsky, Starker, Zukerman, Pennario dedicatari di suoi lavori. Compose musica da camera, corale e sinfonica, eseguita nei centri chiave della cultura Europea. Con questo bagaglio si avvicinò poi - e casualmente, anche per motivi economici - al Cinema grazie all'amico carissimo Honegger. Incontrò successivamente Jacques Feyder e da lì sviluppò progressivamente un doppio percorso compositivo che lo stesso Rózsa definì “Double Life” e che diede il titolo anche ad un'autobiografia scritta negli anni settanta, dalla quale abbiamo tratto alcuni passi in questa breve nota.

Rózsa compositore vive una dimensione sonoro/stilistica che si forgia su un bilanciamento lucido e controllatissimo: da un lato gli affreschi musicali cinematografici, dall'altro un'indagine armonica più sottilmente aperta, vivace e aggressiva (la corposa Sonata per pianoforte) insita in un compositore che è sempre stato legato al vortice della musica popolare ungherese. Il terzo movimento della Sinfonia concertante per violino, violoncello e orchestra ne è un florido esempio. Ma compare anche un affettuoso cedimento alle fascinose strumentazioni di un Rachmaninov e al colorismo timbrico di matrice raveliana. Lo cogliamo nei due  Concerti op. 31 e op. 32, rispettivamente per pianoforte e orchestra e per violoncello e orchestra. Rózsa non separa realmente le “due identità”. Le due nature si intersecano mirabilmente. Lavora sui due versanti con pari magistero, capacità inventiva, sano ottimismo, pur differenziandone giocoforza l'aspetto formale, certo più agile e serrato nelle pagine per il grande schermo quanto meno urgente e anche un poco enfatizzato nei lavori destinati alle sale da concerto. È tra i primi a rimodulare e revisionare le colonne sonore in successive suites sinfoniche da eseguirsi autonomamente, prassi che si impose felicemente dagli anni '50 tra le più grandi firme della Musica per il Cinema (Addinsel, Herrmann, Korngold... ) e che proseguirà fino a Rota, Jarre, Williams, “suggerita” anche dalle esigenze economiche, di pubblicità e di mercato dell'industria cinematografica. La frenesia compositiva di Rózsa - ebbe a scrivere: “Sibelius ha promesso al mondo una nuova sinfonia; non ha mantenuto la promessa perché ha aspettato troppo!” - si ammanta di un pacato intimismo sul versante delle pagine cameristiche, nelle quali più serenamente egli sfugge alla trasbordante generosità coloristica e volutamente stupefacente, quella che viceversa segna la fulminante attenzione riservata negli impegni hollywoodiani. Si pensi all'utilizzo che fece dell'innovativo “eterofono”, inventato dal fisico Lev Sergeevič Termen: strumento che centra l'aura inquietante delle indimenticabili sequenze oniriche per le quali il regista Alfred Hitchcock coinvolse Salvador Dalì in Spellbound (in Italia “Io ti salverò").
 

Compositore infaticabile, artista attento e fortemente curioso, indagatore, decise (e poté) ritagliare periodi di “stacco” dai serrati ritmi dell'industria cinematografica, eleggendo dai primi anni cinquanta il Tigullio a luogo appartato ove, così rimarcava

 

“l'ispirazione, se posso usare un termine che oggi il mondo tanto disprezza, era ed è dietro ogni angolo ...”


I soggiorni nel Tigullio che lo portarono inizialmente a Rapallo, poi abbandonata negli anni del boom edilizio per scegliere la vicina Santa Margherita, rappresentarono un cadenzato spartiacque nella produzione del compositore, una parentesi disintossicante dall'impegno hollywoodiano ma non inerte, volta ad affrontare nuovi lavori e rivedere e rimaneggiare partiture precedenti.


“... Mi guardai intorno e scoprii che Santa Margherita era ancora intatta. Pittoresche case cinquecentesche variamente dipinte con trompe l'oeil circondano la graziosa baia. Nulla può essere modificato senza un permesso; nemmeno un albero può essere abbattuto. Così decisi di trasferirmici”

 
Un ambiente amato e riagganciato, anche annualmente, fino ai primi anni '80. Soggiorni – veniva sovente con la Famiglia - che sortirono il Concerto per pianoforte, la citata Sinfonia concertante per violino, violoncello e orchestra (1966, incisa Heifetz e Piatigorsky), il Concerto per violoncello (1969, inciso da János Starker), il Concerto per viola (1969, dedicato a Zukerman) oltre a varie pagine cameristiche.
 
A Santa Margherita posso lasciare che le idee fluiscano liberamente, e se non vengono di loro spontanea volontà non ho bisogno di forzarle. Ma una volta che ho iniziato un lavoro in queste condizioni quasi ideali, devo perseverare con esso fino alla fine. Non posso abbandonare un movimento e riprenderlo di nuovo sei mesi dopo come se nulla fosse successo...”
 
Vi risiedeva d'estate per non meno di tre mesi. Nel 1965 allungò il soggiorno fin quasi alla primavera dell'anno successivo, immerso nella composizione del Concerto per pianoforte op. 31 dedicato a Leonard Pennario:

"Ho iniziato in estate. Ho scoperto che la scrittura per pianoforte è decisamente più lenta per me rispetto alla scrittura per gli archi, che viceversa conosco profondamente. Dovevo provare tutto accuratamente al pianoforte. Terminai il primo movimento entro settembre e per la prima volta rimasi lì tutto l'inverno. Volevo finire la composizione a Santa Margherita”.
 
La popolarità mondiale conquistata in un crescendo di successi e di riconoscimenti – 14 nomination e 3 Oscar - non lo distolse dal considerare Santa Margherita quale “rifugio” creativo, emotivo, intimo, per oltre vent'anni. Numerose fotografie lo ritraggono nei dintorni, per una puntata gastronomica da “Pepen” a Leivi, nell'entroterra di Chiavari; con il pianista János Sebestyén, con la di lui madre Rózsi Mannaberg (nota docente al Conservatorio di Budapest), con il pittore Oreste Maurilio, su un terrazzo dell'Hotel Florina o ancora a Zoagli, a Portofino. L'ultimo soggiorno nei primissimi anni '80 – aveva intanto portato a termine il Quartetto per archi op. 38 - fu interrotto per un ictus. Il figlio Nicholas lo ricondusse immediatamente negli Stati Uniti, ove comunque seguitò a lavorare, a presenziare esecuzioni, a rilasciare interviste fino alla scomparsa nel 1995. Le ultime composizioni sono per strumento solo. Nel 2007  il Circolo “Amici di Santa Margherita e del Tigullio”, nell’ambito della rassegna “Musica in villa”, celebrò i cento anni dalla nascita del compositore: un prezioso concerto che presentava alcuni lavori cameristici composti nel Tigullio e un convegno denso di testimonianze. Ospite anche la Marchesa Maddalena Mina di Sospiro, per anni animatrice della vita culturale di Santa Margherita e per decenni grande amica del compositore. Così scriveva a lei Rózsa, in una lettera inedita del 1978:
 
“I tre mesi estivi a S. Margherita erano il periodo più felice della mia vita, in quella piccola buffa casetta arredata giusto con un letto e un pianoforte. (presso la proprietà della Marchesa, ndr). Ma era ciò di cui avevo bisogno. Tutto questo ormai è finito, non credo potrò mai più ritornare. Come dice Dante, nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria. Dal 1953 in poi ho scritto tutte le mie opere più importanti nella baia del Tigullio. La Tua amicizia ha donato al mio lavoro un nuovo impulso, di cui Ti sono grato. Amo Roma e Firenze, ma c'è qualcosa di speciale nella nostra baia. La gente è più gentile, più amichevole, e il panorama è più bello“
 
 

 
M. Rózska: Double Life - The autobiography of Miklós Rózska
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